Scheda 4 – La scultura religiosa

La scultura induista

Tutti i manufatti artistici e opere architettoniche prodotte nel subcontinente indiano dal III millennio a.C. ai nostri giorni fanno parte dell’arte indiana. La comprensione di queste espressioni artistiche non può prescindere dal contesto ideologico, estetico e religioso di una civiltà che assunse una configurazione coerente già nel I secolo a.C. e la conservò, con sorprendente continuità, attraverso le epoche successive. Le concezioni induista e buddhista del mondo si incentrano sulla ricerca di una soluzione al paradosso centrale dell’esistenza, in base al quale cambiamento e perfezione, tempo ed eternità, immanenza e trascendenza operano sì in modo opposto, ma come parti integranti di un unico processo. Di conseguenza, la creazione non può essere distinta dal Creatore e il tempo diventa comprensibile solo come eternità.

Nell’arte indiana ricorrono motivi semplici – la silhouette femminile, l’albero, l’acqua, il leone e l’elefante – in composizioni che, nonostante appaiano a volte concettualmente deboli, esprimono con vigore inconfondibile vitalità sensuale, realismo, energia e ritmo. Nella pittura indiana la forma del tempio indù, il profilo del corpo delle divinità, la luce e l’ombra, la composizione e il volume concorrono tutti a glorificare il mistero che risolve il conflitto tra vita e morte, tempo ed eternità. Plasticità e dinamismo sono le caratteristiche fondamentali e più evidenti dell’arte e della scultura orientale di derivazione indù, e cioè la capacità di imprimere alla pietra quel senso di movimento per cui i corpi appaiono così flessuosi, vitali e prorompenti.

Le origini di quest’arte sono da cercare nelle antiche tradizioni e soprattutto nel significato che ebbe la danza per questi popoli: la danza come arte non fu apprezzata soltanto per la sua creatività, ma anche per il profondo significato “liturgico” di cui godeva.

L’atteggiamento scultoreo detto della “triplice flessione” è quello che si ispira più frequentemente alla danza; il busto, le gambe e i fianchi vengono piegati in modo tale che la posizione ricorda una “esse” stilizzata. Questa posizione compare spesso nella scultura, fin dall’epoca Gupta (IV-V secolo dopo Cristo) e dura anche in epoca medioevale, da X al XIII secolo. Nel corso dei secoli i corpi appaiono agili e sensuali, sono giovani o dinamici e oltre a queste importanti caratteristiche estetiche, le immagini sembrano librarsi in una dimensione aerea, piuttosto che terrena, sono al di fuori dello spazio e del tempo. Le ragioni di ciò vanno considerate nell’ambito del rapporto fra cultura e religione che si era stabilito nella popolazione indù: l’arte, in particolar modo quella indiana, è essenzialmente una trasposizione simbolica del sacro e le statue raffigurano principalmente delle divinità, delle persone divinizzate. Gli dei sono concettualmente privi di un corpo e di ogni tipo di caratteristica fisica, la acquistano solo sul piano fenomenico per adattarsi alla dimensione della mente umana che altrimenti non potrebbe comprenderli o immaginarli.

Gli scultori, prediligevano le tecniche dell’alto e del basso rilievo, raramente (soprattutto in India) scolpivano delle statue a tutto tondo. Naturalmente anche per spiegare questo vi è un motivo e una specifica esigenza. Le opere erano fatte per essere osservate e venerate solo in posizione frontale e dunque non necessitavano di finiture nella parte posteriore che restava grezza. A volte facevano parte delle strutture architettoniche e pertanto venivano direttamente scolpite nei blocchi di pietra degli edifici, o altrimenti venivano create delle nicchie apposite nelle pareti per poi inserirle all’interno.

Scultura di Kali

Se si considera che le immagini divine erano spesso dotate di molte braccia, come nel caso della dea Kali e mani che impugnavano numerosi oggetti rituali e che gli dei erano affiancati da spose e da offerenti, si capisce perché le immagini a tutto tondo venivano utilizzate molto meno o addirittura scartate, a meno che non fossero di proporzioni gigantesche dato che, oltre alla difficoltà di realizzazione, risultavano poi più fragili e con scarse probabilità di conservazione.

Quasi sempre veniva usata la pietra arenaria, ma a volte anche una pietra più dura e compatta che varia dal colore verde intenso al grigio e al marrone, un materiale che talvolta veniva lucidato per renderne la superficie simile alla pelle umana.

Tuttavia la tecnica dell’alto e basso rilievo non tolse nulla né limitò la creatività artistica orientale e la qualità della scultura. Spesse volte la lavorazione era così raffinata da dare l’impressione del modellato tondo anche se in effetti non era stato usato. Ed è proprio con questa tecnica che gli artisti indiani ottennero opere di qualità plastica ineguagliata nella storia dell’arte.

 Scultura khmer in Cambogia

Nei primi secoli dopo Cristo i mercanti indiani avevano creato dei porti e delle basi commerciali nella zona costiera della Cambogia (era un piccolo regno dove vi era una confederazione chiamata Pu Nan) importandovi anche la loro religione – buddismo e induismo – e la tradizione di costruire templi in onore degli dei. Nel 1863 un gruppo di naturalisti francesi scoprì in Cambogia il tempio di Angkor Vat, oggi uno dei complessi monumentali più grandi del mondo, che era rimasto coperto dalla fitta vegetazione tropicale della giungla per più di cinque secoli. Gli scavi riportarono alla luce uno dei più grandi patrimoni di arte khmer, praticamente allora sconosciuta al mondo occidentale. Con il restauro il tempio riacquistò la sua precedente bellezza ed imponenza; alcune statue che lo decoravano erano rimaste ancora del tutto intatte, mentre altre erano state danneggiate dalle guerre e dal tempo. Si scoprirono così delle figure maschili e femminili scolpite a tutto tondo, eleganti e raffinate, di una divina bellezza. Nella maggior parte dei casi i loro fianchi erano coperti da un sottile velo pieghettato, abilmente scolpito nella pietra.

La scultura buddhista

Le prime testimonianze archeologiche, per lo più di sculture in pietra ornamentale, provengono dal periodo dell’imperatore Asoka (273-232 A.C), che si convertì al Buddhismo e ne fece una religione popolare in India e nei paesi confinanti.

Nelle regioni di Gandhara (oggi: Afghanistan orientale, Pakistan nord-occidentale, occasionalmente fino nel Punjab) e Mathura (a sud dell’attuale Delhi) nacquero all’incirca contemporaneamente e si influenzarono a vicenda le prime rappresentazioni artistico-religiose del Buddha. Fino ad oggi non è stato possibile chiarire in modo univoco da quale delle due culture derivi la più antica rappresentazione del Buddha in forma.

Buddha del periodo Asoka

Le prime raffigurazioni, soprattutto sculture, del Buddha sono sorte a partire circa dal I secolo nelle regioni del Gandhara e del Mathura nell’India settentrionale.

Gli artisti di Mathura erano in ogni caso radicati stilisticamente soprattutto nella tradizione induistico-indiana. Nello stile di Gandhara sono d’altro canto chiaramente riconoscibili gli stretti contatti, allora esistenti già da parecchi secoli, con l’area culturale ellenistica. Durante la sua ultima campagna, Alessandro Magno (356 – 323 a.C.) nel 326 a.C. aveva conquistato anche Taxila (vicino a Peshawar, capitale del paese fin dai tempi di Dario I Achemenide, 549 – 486 a.C.). Gandhara divenne parte dell’impero mondiale di Alessandro e anche dopo la morte di quest’ultimo rimase nella sfera d’influenza dei regni ellenistici.

Così il mondo della fede buddhista si mescolò nel paese con la tradizione artistica ed estetica dell’antica Grecia ed in seguito anche dell’arte romana provinciale. Nel I secolo a.C. sia Gundhara che Mathura furono infine conquistate dall’Impero Kushan ed entrambe rimasero per molti secoli sotto l’influenza di quest’ultimo (solo nel V secolo la dominazione cambiò di nuovo con la conquista da parte degli Unni bianchi). Particolare importanza assunse in questo periodo re Kanishka, che promosse il Buddhismo in generale, come pure l’arte buddhista in particolare.

La parziale combinazione e la reciproca influenza dell’arte di Mathura di impronta indiana e di quella di Gandhara di influenza ellenistica, produssero un linguaggio formale nuovo e fondamentale per tutti i successivi stili buddhisti, il Buddhismo greco. Anche se non è certo da dove derivino le prime effigie antropomorfe del Buddha, le tracce di entrambe le tradizioni originarie si possono riconoscere soprattutto nelle sculture: da Gandhara derivano i capelli ondulati, la veste che copre entrambe le spalle, i sandali o anche le decorazioni con le note foglie di acanto dell’arte corinzia. Da Mathura venivano invece le vesti più raffinate e più aderenti al corpo, che coprono solo la spalla sinistra, il loto come base sulla quale riposa il Buddha o la raffigurazione della ruota (Dharmachakra) nel palmo della sua mano. In India l’arte buddhista si sviluppò da questi inizi ancora per parecchi secoli. Particolare importanza assunse l’abilità degli scultori di Mathura, specialmente nell’impiego dell’arenaria rosa, durante il periodo Gupta (IV – VI secolo). Qui fu trovata quella forma della rappresentazione che divenne infine caratteristica per quasi tutti i paesi buddhisti dell’Asia e che nel VII – VIII secolo si era universalmente affermata: il corpo delicato e dalle proporzioni perfette, lunghi lobi delle orecchie perforati che ricordano la sua infanzia e la sua gioventù come principe, sulla cima una crocchia come segno della sua vita da asceta ed infine gli occhi semichiusi, che non ricambiano lo sguardo dell’osservatore, ma sono rivolti verso l’interno in atteggiamento meditativo.

Scultura cristiana

La storia della scultura occidentale è tra i filoni più significativi della storia dell’arte. Alla scultura, per la generale maggior resistenza dei suoi materiali, è spesso toccato, suo malgrado, il ruolo di trasmettere i valori dell’arte antica alle generazioni moderne, facendo sì che fosse un ponte tra gli artisti di epoche lontane. Per questo gran parte della storia della scultura occidentale può essere riassunto nell’alternarsi tra allontanamenti e riscoperte del modello classico.

Fino al 1400 la scultura, come anche la pittura, aveva un carattere principalmente religioso, poiché la produzione di statue era destinata a chiese e istituzioni religiose. Nell’Europa medievale il cattolicesimo era la religione predominante ed era diffusa in modo omogeneo; l’arte aveva lo scopo di esaltare la sacralità di Gesù e dei santi, ma soprattutto era uno strumento per divulgare i precetti della fede e per trasmettere valori morali e religiosi. La maggior parte dei fedeli era analfabeta, e così affreschi e sculture erano mezzi di comunicazione a scopo didattico, dato che potevano essere compresi con immediatezza dal popolo.

Le raffigurazioni erano semplici e di facile comprensione, i muri delle chiese erano affollati di bassorilievi raffiguranti scene bibliche, angeli e diavoli che avevano il compito di illustrare ai fedeli la bellezza del paradiso e l’orrore dell’inferno.

A differenza della pittura la scultura cristiana ebbe uno sviluppo più lento e accidentato. Il vasto simbolismo funerario pagano fu la prima fonte di ispirazione per artisti e committenti cristiani. La scultura paleocristiana si pose in sostanziale continuità con l’arte tardo antica, tuttavia una tipica riflessione biblica influenzò numerosi artisti e opere.

Scultura paleocristiana del Buon pastore

Una grande quantità di sculture, comprendenti sarcofagi e gruppi statuari di piccole dimensioni, furono realizzati nello stile aulico della tradizione imperiale. Queste opere compongono la prima testimonianza scultorea a servizio della fede cristiana. Tra i molti lavori, eseguiti tra il II e il VI sec., possiamo ricordare il Buon Pastore dei Musei Vaticani, e il Cristo docente del Museo Nazionale Romano.

Tra i numerosi sarcofagi, quello di Giona dei Musei Vaticani, e il sarcofago di Giunio Basso del Museo del Tesoro in Vaticano. Spesso temi specificamente cristiani, come la vita e i miracoli di Cristo, o le scene dell’Antico testamento, si possono ritrovare in pittura, come nei rilievi scolpiti, insieme a citazioni e figure simboliche.

Gli scultori inoltre si confrontano con architetti e mecenati mettendo la propria arte a servizio di chiese e spazi liturgici, realizzando colonne, capitelli, balaustre, transenne, insieme a oggetti di uso cultuale e devozionale, come pulpiti, arche, reliquari, cattedre, usando materiali preziosi e nobili, come l’avorio e il bronzo, o più modesti, come terracotta e legno.

In epoca medievale, la statuaria autonoma non ebbe grande successo. La sua evoluzione tardo gotica e rinascimentale fu piuttosto una ripresa di modelli greco-romani. Rifiutati e guardati con sospetto dal primo cristianesimo, che cercava di distinguersi ed emanciparsi dalla cultura pagana, vennero poi ripresi e valorizzati nei secoli successivi. L’arte antica e medievale di ispirazione cristiana non amava il “tutto tondo” e guardava con sospetto opere scolpite e isolate. L’arte del tempo accorda questa particolare autonomia solo ad alcuni oggetti di culto, come i crocifissi e le statue della Vergine. Quanto alle statue non destinate all’uso liturgico “come quelle che decorano le cattedrali, esse fanno sempre quasi corpo con l’edificio; la forma individuale umana trova il suo vero senso solo con il suo collegamento alla forma, umana e universale del Verbo incarnato. Ebbene quest’ultimo è rappresentato dall’edificio sacro, corpo mistico del Cristo”.

E’ così che si moltiplicarono facciate di chiese scolpite, insieme a magnifici portali e architravi riccamente scolpiti e decorati. In questo tempo l’arte scultorea si pone a servizio e a completamento dell’architettura ecclesiastica. Tra i più grandi scultori del tempo ricordiamo Arnolfo di Cambio, Nicola e Giovanni Pisano. La scultura gotica fece delle cattedrali una “Bibbia di Pietra” dove i fedeli potevano leggere la vita di Cristo, dalla Nascita alla sua glorificazione, passando attraverso gli insegnamenti morali e le testimonianze di santi e beati.

Con il Rinascimento la scultura cristiana ritorna al fascino dell’arte classica, ormai indipendente dalle strutture architettoniche, riscopre il “tutto tondo” e lo studio dell’anatomia umana. Gli elementi quattrocenteschi e tardo gotici, vengono aggiornati secondo un interesse crescente per il senso di proporzione e rapporti plastici più armoniosi e realistici. E’ il secolo di Michelangelo.

Figura centrale del periodo barocco è il grande architetto, scultore e scenografo Gian Lorenzo Bernini. La sua tecnica scultorea rende il marmo estremamente plasmabile imprimendo alla materia un dinamismo e un virtuosismo mai visto prima. La scenografia e la grandiosità delle sue opere affascina la Chiesa controriformista che se ne servirà per enfatizzare i misteri della fede cattolica, e celebrare l’autorità e la grandezza del papato.

Alla fine dell’epoca barocca, uno stile antitetico e classicista segnerà il passaggio a un nuovo orizzonte artistico: il neoclassicismo. Forme più fredde e sobrie sostituiscono gli apparati scenografici del seicento. Grazie a un revival della statutaria greco-romana, si diffonde un’arte sempre più interessata all’imitazione degli antichi e alla purezza formale. Dal settecento in poi gli scultori si emanciperanno sempre di più dalle committenze ecclesiastiche privilegiando temi civili e soggetti mitologici.

Scarica i materiali del focus: La scultura religiosa

23 Marzo 2021