Testimonianze

Una cura per il “mal d’esilio”

Il Dottor Mario Casavecchia, anestesista e cardiologo, da nove anni è medico volontario presso l’ambulatorio del Centro Astalli. 

Cosa  è cambiato in questi nove anni al Centro Astalli?
Di certo cambiano le provenienze dei pazienti che curiamo. All’inizio erano soprattutto eritrei ed etiopi i profughi che arrivavano in Italia.  Poi i curdi, gli afgani; ora ci sono tantissimi iracheni. E proprio in quest’ultimo mese sto notando un afflusso di gente che proviene dall’Africa subsahariana. Un dato, invece, che non  cambia nel corso degli anni è l’età. Sono sempre i giovani che si mettono in viaggio verso una nuova vita. Visito continuamente ragazzi dai 20 ai 30 anni, prevalentemente uomini. Molti di loro sono totalmente analfabeti e ancora oggi mi fa un certo effetto vedere un giovane di venti anni che firma con una croce.
Quali sono le malattie che cura più frequentemente?
I pazienti che sono in Italia già da un po’ si rivolgono all’ambulatorio per le cosiddette malattie stagionali (raffreddori, febbri, bronchiti…). Chi viene in ambulatorio spesso dorme all’aperto e quindi si raffredda molto facilmente. Invece  le persone che sono appena arrivate in Italia spesso sono affette da malattie della pelle come micosi, scabbia etc. Purtroppo c’è gente che ancora pensa che i migranti partano dai loro paesi di origine con malattie che qui ormai sono considerate estinte. Ma non è così. La maggior parte delle persone che visito contrae malattie durante il viaggio verso l’Europa. Sfido chiunque a stare su una “carretta del mare”, stipato insieme ad altre decine di persone, per giorni e giorni senza potersi lavare neanche la faccia. È naturale che se una persona è ammalata e viaggia in un ambiente in cui non sono garantite le condizioni igieniche minime, contagerà tutti i suoi compagni di viaggio. In questo, il paese d’origine non c’entra nulla.
Per un medico il corpo di un immigrato riesce a descrivere il dolore dell’esilio?
Sì, certamente il corpo racconta con segni inequivocabili le piaghe dell’anima. Frequentemente arrivano persone con il cosiddetto bruciore di stomaco: è l’inequivocabile segno di uno stress molto forte che si è subito e che ancora si vive. Visito moltissimi giovani che soffrono di forti stati d’ansia che mi chiedono qualcosa per alleviare il dolore. Il trauma dell’esilio spesso lascia segni indelebili. Oltre alle medicine, i pazienti del Centro Astalli hanno bisogno di calore umano; di qualcuno che, anche se per pochi minuti, sia disposto ad ascoltarli.
Lei come fa a rispondere a queste richieste?
Innanzitutto cerco sempre di spiegare ai miei pazienti cosa sto facendo mentre li visito e di illustrare loro gli effetti di un medicinale che prescrivo. Penso sia un loro diritto capire quello che sta accadendo durante la visita. E poi  l’esperienza mi ha insegnato a prendere un’abitudine che si è dimostrata da subito efficace. Ogni volta che visito qualcuno, o prescrivo un farmaco, fisso subito un nuovo appuntamento da lì a pochi giorni per vedere come và. Per i pazienti dell’ambulatorio è vitale avere dei riferimenti temporali. Gli immigrati spesso sono persone sole che non hanno la famiglia vicino, sono senza amici e senza un lavoro e quindi non sanno come occupare le ore della giornata. Sapere di dover andare dal medico vuol dire avere un impegno da aspettare, un appuntamento a cui andare. Spesso è l’unico per giorni e giorni.